Così le sue Mani, ora, in questo lavoro.
Mani che si sono congiunte in preghiera, aperte al saluto, chiuse alla rabbia. Si sono fatte legno, metallo, luce. Hanno toccato e accarezzato, hanno amato e vissuto. Si sono sporcate, lavate, ferite. Mani sapienti, di lavoro e di vita. Mani che hanno memoria di gesti e superfici, di corpi e oggetti, di attese e pensieri. Mani geometriche d’aria e di spazi. Mani nude. Mani vere. Le mani di Biasiucci percorrono territori e paesaggi, stazioni, vicoli e stalle, attraversano i luoghi disabitati e le produzioni industriali della Brianza. Sono mani che comprendono e lavorano perché pensano. Sono una natura forte come le solfatare, segni di una materia che ribolle e freme. Nei luoghi della produzione, arrampicato sulle macchine a controllo numerico, infiltrato nelle sale di verniciatura, tra montaggi e stoccaggi, coglie i gesti consueti e mai scontati del fare. Nell’attimo in cui il pensiero progettuale diventa reale, concreto, misurabile in centimetri, angoli, piegature, perché proprio lì c’è il passaggio tra l’idea e l’azione, tra il pensiero e l’oggetto, quando l’etica del gesto dà corpo all’estetica della rappresentazione.
Così le mani si fanno icone, sculture, reperti sulle quali il lavoro fissa l’ennesima declinazione di una poetica, di un racconto infinito del mondo.